sabato 9 giugno 2012

Viaggio verso te




Quando mi sveglio le prime luci dell’alba colorano l’orizzonte e si tuffano nell’oceano. La piccola barca su cui mi trovo si lascia trascinare dal  viaggio delle onde che mi sta portando sempre più lontano, verso l’ignoto. Ogni tanto mi guardo indietro e i miei occhi si ancorano a quella sottile striscia di terra in lontananza: qualcosa dentro di me non vuole lasciarmi andare. C’è qualcosa che vuole farmi tornare indietro, ma ormai non posso. Questa barca va e io non ho remi. Non posso oppormi alle correnti dell’oceano, sono troppo potenti per me che sono così piccolo in tutta questa immensità.
Sono giorni che viaggio, ma mi sembra di essere rimasto immobile, in bilico tra la spiaggia e il mare sconfinato. Non è accaduto nulla per giorni. Nessun gabbiano è volato in questo cielo, nessun pesce ha nuotato in questo mare, nessun suono ha sfiorato questo silenzio, nessun odore ha stuzzicato il mio olfatto. Niente di niente.  Adesso, però, qualcosa sta accadendo. E’ ancora debole, ma percepisco qualcosa. Un dolce suono emerge dalle onde che si infrangono contro il legno della barca. E’ un canto, un canto dolcissimo, ed ogni sua nota sembra stringere, come una corda, un nodo intorno al mio corpo e poi con quella stessa corda tirarmi a sé senza che io possa opporre resistenza. Lentamente, cercando di non perdere l’equilibrio, mi alzo e mi affaccio sull’oceano sotto di me. Sembra quasi familiare quel canto… Chi potrei mai conoscere lì, nel bel mezzo del mare? Lontano, su uno scoglio che si staglia scuro contro il cielo, siede una giovane donna. Le sue labbra sono la fonte di un’armoniosa melodia che sgorga da esse come una limpida sorgente. I nostri occhi si sfiorano e lei, come spaventata, balza giù dall’alta roccia, tuffandosi in quelle acque scure. Continuo a guardare quello scoglio, adesso spoglio, immerso nei miei pensieri, quando improvvisamente qualcosa fa barcollare la barca. Preso alla sprovvista perdo l’equilibrio e cado per terra, facendo dondolare sempre più l’imbarcazione sulle onde agitate. Di nuovo mi alzo in piedi e, lentamente, mi sporgo. Quella donna, che era così lontana da me solamente pochi secondi prima, adesso è lì: di fronte a me. I suoi occhi mi guardano, ma non sono occhi che cercano di capire o di scoprire. Sono occhi che già conoscono e che sembrano semplicemente avermi ritrovato. Sprofondo in quello sguardo, non è una caduta che mi fa paura, ma una strada che mi sembra di aver percorso molte volte.
«Come… come hai fatto? Chi sei?» chiedo non appena riesco a liberarmi di quello sguardo incantevole.
«Come ho fatto a fare che cosa?»
«A nuotare così velocemente... poco fa eri su quello scoglio e pochi secondi dopo eccoti qui.»
Lei si limita a sorridere, ma non dice niente. Il suo sorriso è dolce e mi annienta. Non mi interessa se non mi ha risposto, perché in cambio mi ha sorriso. Forse è stato meglio così.
«Sono giorni che ti seguo, sai?» mi dice.
«E’ la prima volta che ti vedo, dove sei stata fino ad adesso?»
«Sono sempre stata dietro di te, ma eri troppo impegnato a viaggiare. Non ti fermavi un attimo. Cercavo di raggiungerti, ma non c’era niente da fare. Ho provato anche ad urlare, ma tu non mi hai sentito. Mi hai fatto sentire sola.»
«Scusa.»
Distolgo il mio sguardo, imbarazzato.
«Non ti devi scusare. Tu non hai fatto niente di male, facevi bene a viaggiare dritto verso la tua meta. Perché adesso ti sei fermato?»
«Perché ho paura. Non so cosa mi succederà. Sulla spiaggia ho lasciato tante di quelle cose e non so se potrò mai vederle di nuovo, toccarle.»
«Non devi avere paura, San. Non importa se non potrai più vederle o toccarle, quello che veramente è importante è che quelle cose si ricordino di te, sempre. Se veramente ti hanno amato, loro aspetteranno. Aspetteranno anche un’eternità intera.»
Come fa quella donna a sapere il mio nome? Lei mi conosce. Anche io sento di conoscerla, perché la sua voce mi fa sentire un morbido calore vicino al cuore. Mi volto e di nuovo guardo quella spiaggia lontana e ci vedo tutte le mie gioie, i miei dolori, i miei scontri, i miei amori: tutta la mia vita. E’ così difficile anche solo spostare lo sguardo e invece devo addirittura trovare la forza di gettarmi nelle braccia di questo oceano misterioso.
«E’ difficile, sai? Io amo tutte le cose che mi sono lasciato alle spalle, e anche se loro rimarranno lì ad aspettarmi, come farò io senza di loro?»
«Non puoi più tornare indietro, San. L’unica speranza che ti rimane è quella di continuare questo viaggio. Nemmeno io so dirti cosa ti aspetterà e nessuno potrà dirtelo, devi solamente provare a lasciarti andare. Rimanere qui a metà non è vivere.»
«No, non lo è.»
La donna non sposta il suo sguardo nemmeno per un attimo. I suoi occhi mi hanno stregato nuovamente e mentre mi perdo nelle sfumature di quel blu, lei mi tende una mano. E’ bianca, piccola e anche se non l’ho ancora toccata so già che è morbida come seta. La guardo per un po’ senza fare niente. La sfioro con le dita e poi la afferro. Ho paura, tremo, ma mi lascio prendere. Lentamente scivolo giù dalla barca e mi lascio stringere da quelle braccia sottili. Non so perché, ma mi ritrovo a piangere.
«Ti porto io, non avere paura. Lasciati andare» mi sussurra lei nell’orecchio.
Mi stringo a lei quasi senza accorgermene. E’ l’unica cosa che conosco in quel mare di cose sconosciute. Anche lei si stringe a me.
«Non tremare. Tornerò su quella spiaggia quando te ne sarai del tutto andato e ti aspetterò, se mi dai qualcosa per cui valga la pena aspettare…» mi sussurra all’orecchio.
All’inizio non capisco, poi sento le sue soffici labbra sfiorare le mie e lentamente appoggiarvisi. Hanno un buon sapore. Timidamente le assaporo. Quel bacio scioglie tutte le mie preoccupazioni, tutte le mie paure congelate. Lacrime e mare si confondono. Non dovrei piangere forse, ma non riesco a farne a meno. Tra le lacrime, i miei occhi scivolano sulle spalle di quella donna e si tuffano sotto la superficie del mare. Non vedo un paio di gambe, ma una lunga coda che fluttua in quelle correnti. Una lunga coda verde: il verde è il mio colore preferito.
Lei si è accorta del mio sguardo attento e mi sorride. Ecco perché ci aveva messo così poco a raggiungere la mia barca da quello scoglio, ed ecco perché lei sarebbe stata capace di guidarmi. Iniziamo a spostarci ed io non lascio la sua mano neanche per un attimo. Il sole si sveglia ed ha quasi scavalcato completamente l’orizzonte: è verso quella luce che mi sto dirigendo. Sono sereno, adesso.

X x x

E’ passata una settimana. Una settimana soltanto. Mi sembra così dura senza di lui, non so come farò. Da sola non sono forte abbastanza per affrontare la vita. La vita è una questione che non si può risolvere senza l’aiuto di nessuno.
Mia madre mi accarezza, ma in questo momento non mi fa sentire meglio. Non basta.
«L’ultima volta che l’hai visto, fuori dal coma intendo, gli hai ricordato quanto lo amavi?» mi chiede. E’ la prima volta che parliamo di San dopo che è morto.
«No, non l’ho fatto. Come potevo immaginare che…?» Le parole hanno smarrito la strada per uscire e rimangono incastrate nella mia gola. Sento il pianto pizzicare i miei occhi ed ogni volta che il mio sguardo incontra quella lapide una lacrima sfugge al mio controllo.
«Non importa, tesoro mio. Lui lo sapeva. Lo sapeva bene.»
«Mentre era in coma, su quel letto di ospedale… gli ho parlato tanto sai? Poco prima che il suo cuore si fermasse gli stavo parlando di una sirena, a lui piacevano tanto.»
Ancora una carezza.
C’è una cosa a cui non riesco a smettere di pensare da quel giorno. Ho come la sensazione che lui mi abbia stretto la mano. Una stretta debole, come una carezza. Un modo come un altro per dirmi: “so che ci sei. Ti  ho sentito”.
Poco dopo è morto.
Mi lascio cadere per terra davanti alla lapide e non solo cedono le ginocchia, ma anche i freni che trattenevano le lacrime. Con una mano cerco di raccoglierle sulla mia guancia prima che cadano per terra. Poi, lentamente, la avvicino al petto dove percepisco un battito stranamente tranquillo.
E’ questo che hai sfiorato veramente con ogni tuo gesto. Il mio cuore.

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